sabato 22 settembre 2018

A PROPOSITO DELLA MISSIONE 
ITALIANA IN NIGER 
 
Sembra che la missione italiana in Niger possa proseguire. Proseguire perché, seppur a livello limitato, era già iniziata da diversi mesi con l'attivo presso la base statunitense a Niamey (la capitale) di 40 militari con il generale di brigata Antonio Maggi, sul posto addirittura dal dicembre 2017.
Come accade da diverso tempo, la colpa è stata scaricata su Parigi ma forse qualche responsabilità l'hanno anche alcuni politici locali, che volevano alzare il prezzo (non solo politico) per autorizzare l'intervento italiano. Il paese è poverissimo per cui si cerca di strappare il più possibile. Del resto corremmo vedere quanti dei nostri politici conoscevano l'esistenza del Niger e se sarebbero stati in grado di identificarlo su una mappa "muta"!
Il precedente esecutivo, con la Pinotti alla testa del Ministero della Difesa, voleva far credere che per addestrare il piccolo esercito servivano 450 militari italiani, neppure avessimo dovuto far loro ripetizioni individuali a casa! Queste compagini che nella politica estera si rivelano molto male assortite (della serie "blocchiamo i flussi di clandestini ma non facciamolo sapere") hanno questo modo di muoversi.
Di sicuro Parigi vorrebbe mantenere il primato nell'intervento in questa fascia di paesi già colonie francesi, nell'ambito dell'Operazione BARKHANE contro le milizie integraliste musulmane. Il problema che la Francia fa fatica a mantenere 4.000 dei suoi militari su una superficie immensa (Ciad, Mali, Niger, Mauritania, Burkina Faso), avendo anche altri pesanti impegni, come quello in Siria. Vorrebbe l'apporto italiano ma mantenendo il controllo, cosa non fattibile in quanto i mezzi e gli uomini sono quelli che sono e si deve chiedere sempre aiuto ai potenti mezzi del Comando statunitense per l'Africa per alimentare un enorme sforzo logistico.
 
UNA NUOVA BASE
Sembra che il contingente italiano non andrà nell'avamposto di Madama, ultimo villaggio sulla rotta per la Libia, ma realizzerà una nuova base, dove assisterà i militari locali per bloccare i traffici di essere umani e di armi, chiudendo la porta meridionale della Libia, dove succede di tutto, magari con l'appoggio delle forze del generale Haftar. Le piste attraverso la frontiera sono due e bisogna ricordare che qui siamo nel deserto, dove non possono sfuggire certi traffici.
Una nuova base costerà di più ma si tratta di piccoli distaccamenti e il Niger non è lontano come l'Afghanistan anche se è lontano dal mare (ma in mezzo non ci sono le montagne per arrivarci). Le temperature sono altissime ma secche, meno insidiose di quelle tropicali. 
Sicuramente la popolazione imparerà a conoscere la nostra generosità e andremo molto bene anche nella fase dell'addestramento delle forze locali, con un contingente di Esercito, Aeronautica e Carabinieri.
Bisognerà stare attenti perché stati guastando i traffici di spietati trafficanti di esseri umani e di terroristi integralisti, per cui faranno di tutto per ostacolarla. 
Nel deserto la parola chiave è acqua; la vita. Portiamoci dietro delle belle trivelle e installiamo subito dei pannelli solari per integrare di giorno i generatori, ricordando la necessità dei potabilizzatori. Per i convogli, il deserto è molto meno insidioso dei monti dell'Afghanistan anche se le piste sono difficili e le distanze enormi, mettendo a dura prova i veicoli, come sano bene i francesi.

NEXT STOP: LIBIA!
Ostacolare i traffici illegali in Niger farà bene anche alla Libia, il vero nodo dell'attuale politica estera italiana. Se qualcuno conoscesse le milizie che si battono a Tripoli e dintorni, capirebbe che le cose a posto da sole non ci andranno mai, a meno che non vinca la fazione di Haftar, cosa che non farebbe terminare tutti i problemi, ad iniziare dall'integralismo (e non vi è solo Daesh da temere). Smettendo di prendersela con Sarkosy, anche perché Napoletano ha avuto delle responsabilità precise così come il PD, finendola di rimpiangere quel "simpaticone" di Gheddafi (un feroce dittatore che ci ha più volte umiliati, complice una classe politica che preferiva blandirlo piuttosto che toglierlo di mezzo, da Moro in poi) bisognerà arrivare a una qualche conclusione.
La carta Sarraj non ha funzionato (ma non bisognava essere dei grandi strateghi per capire che un uomo privo di proprie milizie non poteva imporsi nel regno delle milizie!) bisognerà vedere, celermente, che fare, magari cambiando anche inviato ONU, un libanese che abita in Francia (!), succeduto a un tedesco che non ci capiva niente, imbarazzato solo se si accennata alla presenza dell'Africa Korps in Libia.
Servono scelte ponderate ora e non dilazionarle all'infinito. Vogliamo il petrolio e il gas libici? Certo che vogliamo entrambi e chi dice il contrario mente spudoratamente. Lo voglia pagare il giusto ma in cambio possiamo dare stabilità e sviluppo ad un paese stremato da troppi anni di caos, conseguenza di un mancato intervento stabilizzatore nel 2011. In tanti governanti erano contenti di un intervento che non era costato vittime e invece di lanciare una bella missionen internazionale, provarono ad ottenere benefici da questo o quel capo delle milizie.
Staremo a vedere e stiamo sempre aspettando che si riaprano le visite dei giornalisti alle missioni all'estero, un inopinato e ingiustificato blocco che comunque non ha portato fortuna alla Pinotti.


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