sabato 13 luglio 2019

IN MERITO ALLA SENTENZA DI PAVIA 
CONTRO UN MILITARE UCRAINO
Abbiamo già commentato la condanna a 24 anni contro Vitaly Markiv, militare della Guardia Nazionale ucraina, in relazione alla morte, per colpi di mortaio, del fotografo italiano Andrea Rocchelli. Diciamo che non ce ne eravamo mai occupati in particolare perché l'episodio, fin dall'inizio, ci era sembrato uno dei tanti drammi della guerra, una tragedia tutt'altro che insolita per chi si reca per lavoro in aree di conflitto.
Prendendo qualche informazione ascoltando la testimonianza del fotografo francese che rimase ferito, abbiamo scoperto di conoscere il posto, cosa non semplice perché Slaviansk, la città del Donbas dove avvenne tutto il 24 maggio 2014, non è un piccolo paese ma aveva prima del conflitto 140.000 abitanti (nel 2001 il 73% si registrò come ucraino e il 23% come russo).
I fatti avvennero nella parte meridionale della località, alla sua periferia industriale, ai piedi di una collina, con ripetitore TV sulla cima, strategica per il controllo della zona. L'area fu oggetto di intensi combattimenti per settimane. La torre TV fu abbattuta e ancora oggi si possono notare le fortificazioni campali. Vi è oggi anche un monumento per ricordare l'abbattimento di un elicottero ucraino con un missile spalleggiabile, in cui morì un generale, giusto per capire che area tirava da quelle parti in quelle settimane.
Il 24 maggio l'imputato, un semplice sergente della Guardia Nazionale (non un ufficiale come affermato da qualcuno) giunto volontario dall'Italia (avendo la doppia cittadinanza ed essendo nato in Ucraina), era nell'area ed ebbe la sfortuna di parlare con due giornalisti italiani. La Guardia Nazionale, appena creata, non disponeva di mortai ma solo di armi a tiro teso, per cui non può essere accusato di essere il responsabile diretto. E' stato condannato per "concorso in omicidio", fattispecie abbastanza atipica, per cui se io partecipo ad un reato, rispondo anche di quanto compiono i miei sodali (per esempio durante una rapina). Solo che in questo caso non si trattava di un regolamento di conti fra bande o di altra azione da codice civile ma di un conflitto, dove esistono altre leggi e convenzioni che vanno rispettate. In base a certe interpretazioni della corte di Pavia, sarebbero responsabili di quanto accaduto centinaia di "uomini armai" che erano presenti, i comandanti locali e via proseguendo.
Ci risulta che la corte non sia stato sul posto, cosa molto grave perché si sarebbe potuta rendere conto della vastità dei luoghi e avrebbe potuto avere un'idea di dove si trovava l'imputato, i mortai, il percorso dei giornalisti, i campi visivi e via proseguendo. Il punto è facilmente identificabile perché ai piedi della collina vi è un passaggio a raso sulla ferrovia, dove i separatisti avevano bloccato la strada piazzandoci dei vagoni ferroviari, vagoni a cui i fotografi si avvicinarono. Si era praticamente nella terra di nessuno e avvicinarsi non è stata l'idea migliore anche se la situazione sembrava calma. Dalle posizioni ucraine si è visto (o per meglio dire intravisto) il movimento e si è pensato ad una attività nemica, per cui si è aperto il fuoco. Qualcuno ci dovrebbe spiegare come facevano gli ucraini a comprendere che si trattava di inviati e non di miliziani ostili, anche perché in fatto di uniformi la situazione era molto carente, in particolare fra le file dei separatisti e tutti utilizzavano per attività militari anche mezzi civili.
Non sappiamo se l'imputato ai giornalisti italiani con cui telefonava, abbia detto per telefono frasi tipo "stiamo sparando con i mortai" ma in questi casi non è assolutamente detto che una frase di questo tipo si riferisca alle persone intorno ma bensì allo schieramento di cui si fa parte.
Un omicidio deve avere un movente e vogliamo leggere nelle motivazioni della corte quale motivo avrebbe avuto l'imputato, che con i giornalisti ci parlava, di  colpire dei giornalisti anche perché la logistica aveva dei problemi e i colpi non erano abbondanti.
Giustamente ci siamo lamentati fortemente del trattamento inflitto dall'India ai nostri fucilieri di marina ma ci sembra che questo caso  abbia visto un atteggiamento assolutamente non attinente al contesto e alle reali responsabilità dell'imputato, il quale ha avuto la sfortuna di tornare a trovare la madre nel paese da cui proveniva una delle vittime. Ben altro caso (e purtroppo sono molti), sarebbe stato se l'uccisione fosse avvenuta a freddo, magari dopo che era emerso chi erano gli occupanti della macchina. 

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