venerdì 11 gennaio 2019

SEMPRE MENO RUSSI NELLE ZONE DI CONFINE
 
 
Il numero di cittadini di etnia russa nelle repubbliche di confine cala nelle aree di confine. Si prenda l'Ossezia, la regione della Georgia occupata nel 2008 dalla Russia. Nel 1979 annoverava circa 200.000 abitanti che si dichiaravano di lingua russa. 30 anni dopo il numero è precipitato a 153.000, con quasi 1/4 di differenza in meno. I russi, specialmente i giovani, non amano queste zone marginali, dove la vita é dura e non arrivano i benefici che si vedono in altre aree.
La Siberia è abitata da appena 8 milioni di abitanti e questo valore sta scendendo anche per il basso indice di fertilità. Questo nonostante le risorse nel campo degli idrocarburi che però non richiedono masse enormi di lavoratori.
I russi stanno lasciando i paesi baltici, dove giunsero soprattutto ai tempi di Stalin, così come sta avvenendo in Ucraina, Donbas incluso, dato che la vita è molto difficile, per ovvi motivi legati al conflitto, e non si vedono sbocchi economici. Si trasferiscono, o almeno ci provano, i russi della Moldavia, inclusi quelli della Transnistria, dove hanno dato vita ad una secessione.
Tutti questi sono problemi seri per Putin anche perché il settore manifatturiero russo non si sta sviluppando come si sperava. La sua politica ha dato fiato ai sentimenti nazionalisti locali, cosa che sta causando ingenti trasferimenti di persone che poi vanno ricollocati e a cui va dato un lavoro.
Ora vi è chi accusa Putin di essere il responsabile principale della scissione della Chesa Ortodossa ucraina dal Patriarcato di Mosca, che ha visto ridursi drasticamente il numero di fedeli e i relativi introiti.

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